• L’opinione di… Luca Lombroso / "All'Osservatorio Geofisico del DIEF Unimore rilevati i primi effetti del cambiamento climatico già nel 1990"
    CAE MAGAZINE n.56 - Settembre 2021
    L’opinione di… Luca Lombroso / "All'Osservatorio Geofisico del DIEF Unimore rilevati i primi effetti del cambiamento climatico già nel 1990"

L’opinione di… Luca Lombroso / "All'Osservatorio Geofisico del DIEF Unimore rilevati i primi effetti del cambiamento climatico già nel 1990"

Luca Lombroso è Meteorologo AMPRO e lavora pressol’Osservatorio Geofisico del DIEF UNIMORE,una delle istituzioni storiche dell'Università di Modena e Reggio Emilia, dove ha maturato una lunga esperienza come Responsabile tecnico. Attualmente l'Osservatorio, che sorge nel Torrione di levante di Palazzo Ducale, in Piazza Roma, sin dalla sua nascita nel 1830, è gestito e fa parte del Dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari, ed è stato riconosciuto nel 2020 come stazione osservatoria centenaria dall'Organizzazione mondiale Meteorologica (WMO). 

Ci può raccontare brevemente la storia dell'Osservatorio?

Lavoro dal 1987 all'Osservatorio Geofisico di Modena, conosco quindi in prima persona le specialità che mantiene come una serie storica di dati lunga, continua, e ininterrotta nello stesso spazio fisico, la balconata e la terrazza in piazza Roma. L'Osservatorio nasce nel 1830 come Osservatorio astronomico, ma fin da allora venivano raccolti i dati meteorologici, la meticolosità delle osservazioni ha dell'incredibile. Per fare un esempio: l'allora direttore Giuseppe Bianchi annotava un giorno che era stato "toccato l'igrometro". A causa dei moti rivoluzionari guidati da Ciro Menotti, infatti, un giorno dovette lasciare gli strumenti e imbracciare il fucile e si rammaricava della perdita dei dati. Quindi abbiamo una serie storica che ha digitalizzato e archiviato questi dati fin dal primo giorno di osservazione nel 1830. In particolare, c'è un dato omogeneo e validato varie volte che riguarda una serie di precipitazioni idriche, e anche delle nevicate dal Primo gennaio 1830. Già allora venivano rilevati dati di precipitazioni e sulla pressione, mentre quelli termoigrometrici sono usabili sostanzialmente solo dal 1860, ma con un lavoro di omogeneizzazione potrebbero essere recuperati anche dati precedenti. La particolarità dell'Osservatorio di essere ubicato sin dalla sua nascita nello stesso sito (la balconata storica), oltre agli altri punti distaccati, ci ha dato poi il riconoscimento di Osservatorio centenario dal parte del WMO. Gli osservatori centenari sono un patrimonio di dati, di esperienza ma anche di storia e di beni culturali importantissimi.

Ci può parlare del suo ruolo all'interno dell'Osservatorio e come si svolge il suo lavoro?

Sono entrato con un compito ben preciso: quello di automatizzare la stazione dell'Osservatorio che, allora, era ancora formato da strumenti registratori, da un termometro di misura massima ecc. Qui è cresciuta la mia professionalità, e insieme all'osservazione si è aggiunta quella di previsione. Inoltre, ho partecipato personalmente a diversi progetti internazionali, inizialmente come tecnico e poi come meteorologo previsore. Oggi gestisco, sotto la direzione del Prof. Sergio Teggi e con la collaborazione delle Ing. Francesca Despini e Ing. Sofia Costanzini, la stazione dell'Osservatorio. Abbiamo anche 5 punti di misura attorno a Modena e Reggio Emilia, e uno in collaborazione con l’Associazione “Foreste per sempre” alla riserva Karen Mogensen, in Costa Rica. Il focus dell'attività è sempre la stazione dell'Osservatorio Geofisico: gestisco la stazione, l'archiviazione dei dati, e la pubblicazione dell'annuario, insieme alle 4-5 stazioni di ricerca più recenti e che quindi non hanno una serie lunga di dati. 

Oggi siamo sempre più indirizzati all'interno del Dipartimento di ingegneria Enzo Ferrari nella ricerca nell'ambito ambientale: valutazioni dell'impatto ambientale; studio della diffusione degli agenti inquinanti; modelli ambientali; studio delle isole di calore; telerilevamento ambientale e tanto altro. Infine, organizziamo e svolgiamo le visite guidate al pubblico, già da un paio di anni. Abbiamo svolto molti eventi, come nella notte dei ricercatori, con migliaia di visitatori a sera. Personalmente svolgo attività anche come libero professionista per le attività di consulenza meteorologica, di previsore e divulgatore ambientale nonché come personaggio televisivo.

La tecnologia è naturalmente importantissima in questo ambito per la misura e raccolta dei dati. Verso quale direzione stiamo andando?

Nell'ambito della sensoristica il grosso cambiamento è avvenuto 30 anni fa, nella parte elettronica dei sensori. Oggi è importante la fruibilità del dato e la sua diffusione. Un tempo i giornalisti ci chiamavano nel tardo pomeriggio per chiederci le temperature massime a Modena insieme a qualche commento, invece, oggi, il dato è immediatamente inserito nel sito Internet, consultabile pubblicamente come i dati di archivio. È un processo di raccolta e semplificazione che ha migliorato il nostro lavoro, ma è anche foriera di equivoci o malintesi: può uscire un dato sbagliato per esempio. C'è un appassionato che ogni tanto ci scrive per avvisarci che il dato non è stato aggiornato, ma il motivo è semplicemente che il sistema a volte necessita di un po' più di tempo. Progressivamente saranno impiegati sempre di più i sistemi di intelligenza artificiale. Come ricerca interna ci stiamo interessando nel riconoscimento di nubi e copertura nuvolosa e di visibilità tramite le webcam. Annotiamo ancora oggi la nuvolosità 3 volte al giorno, e l'altezza della neve fresca in 24 ore con misure non ancora automatizzate. Facendo una battuta: sto istruendo il software che dovrebbe sostituirmi nelle previsioni!

Mettendo insieme l'ultimo Rapporto Onu sul clima e i dati dell'Osservatorio Geofisico ci sono delle caratteristiche rilevate da quest'ultimo che, in piccola scala, possono confermare, sostenere o confutare alcuni aspetti del Rapporto?

Già nei primi anni del mio lavoro all'Osservatorio insieme all’ex collega e amico dott. Paolo Frontero abbiamo incominciato a rilevare i primi eventi estremi. Un evento che è ancora il nostro record giornaliero, risale al 5 ottobre 1990, quando caddero 165,4 millimetri di pioggia, quando a Modena il giorno massimo di pioggia era di 90 millimetri. Lo uso come esempio ai miei studenti laureandi sull'analisi dei dati, perché questo dato si scosta talmente tanto dai dati precedenti e anche da quelli successivi che ancora oggi il mondo dell'idrologia e gli studenti tendono a invalidarlo. È un dato, cioè, che fa impazzire i modelli di validazione della nostra serie storica perché si discosta molto sia dai dati raccolti dall'Osservatorio che da quelli centrali. Eppure, non è un dato sbagliato. Questo è un segnale di quanto il cambiamento climatico è iniziato a presentarsi in modo prepotente anche a livello locale. Abbiamo iniziato a rilevare queste anomalie nella seconda parte degli anni ‘50, poi sono aumentate e seguivamo i lavori dell'Ipcc, ma erano presi con molta cautela. Successivamente ci sono stati altri eventi peculiari nella nostra serie, come l'estate del 2003, che ha visto un'anomalia non nel singolo dato ma nella stagione. Se fino al 2002, infatti, l'estate più calda in agosto aveva una media di 25,5 gradi, nel 2003 abbiamo registrato 28 gradi centigradi. Un dato confermato non solo nelle temperature medie, ma anche nel numero dei giorni in cui si superata la soglia dei 30 gradi. 

E per quanto riguarda le precipitazioni?

I segnali sui cambiamenti nelle precipitazioni sono più sfumati. Ci sono delle anomalie, ma dal punto di vista statistico-scientifico sono al limite della significatività, la statistica non è sufficiente. C'è un aumento delle piogge nel mese di giugno, e nelle precipitazioni invernali. Il record di piogge mensile è di febbraio 2014 e maggio 2019.

Secondo lei il tempo è davvero scaduto? Che cosa possiamo fare? 

Il tempo non scade mai, ma le probabilità di raggiungere l'obiettivo dell'Accordo di Parigi, a cui ho personalmente partecipato alla COP21, di mantenere il riscaldamento globale non oltre 1,5 gradi, sono veramente basse, così come il taglio necessario delle emissioni di gas serra, sono misure imponenti, urgenti e in tempi difficilmente compatibili con la società. 

Quali sono i prossimi scenari, soprattutto se non riusciamo a invertire la rotta?

Non è facile delinearli a livello locale, sono state fatte a livello regionale e nazionale. Certo, non mi immagino la città di Modena con le palme o nel deserto! Il cambiamento richiederà grossi interventi di adattamento e di resilienza, che io sostengo molto. È necessario piantare alberi ma che siano adatti al territorio e in grado di assorbire CO2 e altri inquinanti, insieme all'uso di tecnologie come i green roof che tendono a mitigare le isole di calore.

A mio avviso il problema che caratterizzerà in particolare i nostri territori, parlo di Modena e di Reggio Emilia, sono le temperature molto alte, oltre i 40 gradi, o temperature che nemmeno oggi riusciamo a immaginare. Già oggi, anche se sono ancora dati empirici, possiamo vedere dai dati dell'Osservatorio che le estati sono sempre più calde e lunghe: nel 2011 per la prima volta si sono raggiunti i 30°C ad aprile, addirittura il giorno 9. Precedentemente non erano stati mai raggiunti i 30°C prima di inizio maggio, ed è probabile che arriveremo a 42-45 gradi in alcune parti del territorio. Aria più calda significa infine maggior energia a disposizione, e quindi maggior possibilità di acqua precipitabile specie nei mesi invernali. Per questo sto lavorando molto nella sensibilizzazione del comportamento. Sul cambiamento climatico dovremmo arrivare a dire: "ciao fossili", e passare a un uso più sobrio ed efficiente, e meno sprecone, in linea con l'Enciclica Laudato Sì di papa Francesco. Un modello di società basato sulle energie rinnovabili per mantenere un livello di vita dignitoso per la popolazione, e per le future generazioni che chiamo “Internet e galline”, di cui potete leggere i dettagli nel mio libro dal titolo appunto “Ciao Fossili”, edizioni Artestampa.


a cura di Laura Polverari


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