• 15 miliardi di investimenti e riforme: il PNRR per il dissesto idrogeologico
    CAE MAGAZINE n.53 - Maggio 2021
    15 miliardi di investimenti e riforme: il PNRR per il dissesto idrogeologico

15 miliardi di investimenti e riforme: il PNRR per il dissesto idrogeologico

Il NGEU segna un cambiamento epocale per l’UE. La quantità di risorse messe in campo per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme ammonta a 750 miliardi di euro, dei quali oltre la metà, 390 miliardi, è costituita da sovvenzioni. Le risorse destinate al Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF), la componente più rilevante del programma, sono reperite attraverso l’emissione di titoli obbligazionari dell’UE, facendo leva sull’innalzamento del tetto alle Risorse Proprie. Il NGEU intende promuovere una robusta ripresa dell’economia europea all’insegna della transizione ecologica, della digitalizzazione, della competitività, della formazione e dell’inclusione sociale, territoriale e di genere. Il Regolamento RRF enuncia le sei grandi aree di intervento (pilastri) sui quali i PNRR si dovranno focalizzare: Transizione verde; Trasformazione digitale; Crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; Coesione sociale e territoriale; Salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; Politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani.

Venendo alle scelte fatte dal Governo italiano, il PNRR è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l’ammodernamento del Paese. Il governo intende aggiornare e perfezionare le strategie nazionali in tema di sviluppo e mobilità sostenibile; ambiente e clima; idrogeno; automotive; filiera della salute. L’Italia deve combinare immaginazione e creatività, a capacità progettuale e concretezza. Il governo vuole vincere questa sfida e consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale. Nel PNRR si premette che l’Italia è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e, in particolare, all’incremento delle ondate di calore e della siccità. Le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali risentono degli effetti legati all’incremento del livello del mare e delle precipitazioni intense. Secondo le stime dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), nel 2017 il 12,6% della popolazione viveva in aree classificate ad elevata pericolosità di frana o soggette ad alluvioni, con un complessivo peggioramento rispetto al 2015. Dopo una forte discesa tra il 2008 e il 2014, le emissioni pro capite di gas clima-alteranti in Italia, espresse in tonnellate equivalenti, sono rimaste sostanzialmente inalterate nel 2019.

Coerentemente con quanto premesso, nel Piano è contenuta la “Missione 2 - Rivoluzione verde e transizione ecologica”, che si struttura in 4 componenti ed è volta a realizzare la transizione verde ed ecologica della società e dell’economia italiana coerentemente con il Green Deal europeo. Questa comprende interventi per l’agricoltura sostenibile e l’economia circolare, programmi di investimento e ricerca per le fonti di energia rinnovabili, lo sviluppo della filiera dell’idrogeno e la mobilità sostenibile. Prevede inoltre azioni volte al risparmio dei consumi di energia tramite l’efficientamento del patrimonio immobiliare pubblico e privato e, infine, iniziative per il contrasto al dissesto idrogeologico, la riforestazione, l’utilizzo efficiente dell’acqua e il miglioramento della qualità delle acque interne e marine. Il Piano dedica il Componente 4 di questa Missione alla sicurezza del territorio, intesa come la mitigazione dei rischi idrogeologici (con interventi di prevenzione e di ripristino), alla salvaguardia delle aree verde e della biodiversità (es. con interventi di forestazione urbana, digitalizzazione dei parchi, rinaturazione del Po), all’eliminazione dell’inquinamento delle acque e del terreno (es. con bonifica siti orfani), e alla disponibilità di risorse idriche (es. infrastrutture idriche primarie, agrosistema irriguo, fognature e depurazione), tutti aspetti fondamentali per assicurare la salute dei cittadini e, sotto il profilo economico, per attrarre investimenti. 

Il primo ambito di intervento è volto a rafforzare la capacità previsionale degli effetti del cambiamento climatico. Elemento chiave è l’Investimento 1.1, valorizzato in 500 milioni di euro per la Realizzazione di un sistema avanzato e integrato di monitoraggio e previsione. Questo investimento è orientato a sviluppare un sistema di monitoraggio che consenta di individuare e prevedere i rischi sul territorio, come conseguenza dei cambiamenti climatici e di inadeguata pianificazione territoriale. L’utilizzo di tecnologie avanzate consentirà il controllo da remoto di ampie fasce territoriali, con conseguente ottimizzazione dell’allocazione di risorse. I dati di monitoraggio costituiranno la base per lo sviluppo di piani di prevenzione dei rischi, anche per le infrastrutture esistenti, e di adattamento ai cambiamenti climatici. Lo strumento consentirà anche di contrastare fenomeni di smaltimento illecito di rifiuti e di identificare gli accumuli, individuandone le caratteristiche, per i conseguenti interventi di rimozione. Gli elementi costitutivi del sistema sono:

  1. la raccolta e omogeneizzazione di dati territoriali sfruttando sistemi di osservazione satellitare, droni, sensoristica da remoto e integrazione di sistemi informativi esistenti;
  2. reti di telecomunicazione a funzionamento continuo con i più avanzati requisiti di sicurezza a garanzia della protezione delle informazioni;
  3. sale di controllo centrali e regionali, che consentiranno agli operatori di accedere alle informazioni raccolte dal campo;
  4. sistemi e servizi di cyber security, per la protezione da attacchi informatici.

Il secondo ambito di intervento è mirato a prevenire e contrastare gli effetti del cambiamento climatico sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio. Uno degli elementi chiave di questo ambito è l’investimento 2.1 che prevede 2,49 miliardi di euro per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico. Le minacce dovute al dissesto idrogeologico in Italia, aggravate dagli effetti dei cambiamenti climatici, compromettono la sicurezza della vita umana, la tutela delle attività produttive, degli ecosistemi e della biodiversità, dei beni ambientali e archeologici, l’agricoltura e il turismo. Per ridurre gli interventi di emergenza, sempre più necessari a causa delle frequenti calamità, è necessario intervenire in modo preventivo attraverso un ampio e capillare programma di interventi strutturali e non strutturali. A interventi rivolti a mettere in sicurezza da frane o ridurre il rischio di allagamento nelle aree metropolitane, si affiancano misure non strutturali previste dai piani di gestione del rischio idrico e di alluvione, focalizzati sul mantenimento del territorio, sulla riqualificazione, sul monitoraggio e sulla prevenzione. L’obiettivo è portare in sicurezza 1,5 milioni di persone oggi a rischio. Nelle aree colpite da calamità saranno effettuati interventi di ripristino di strutture e infrastrutture pubbliche danneggiate, nonché interventi di riduzione del rischio residuo, finalizzato alla tutela dell'incolumità pubblica e privata, in linea con la programmazione e gli strumenti di pianificazione esistenti.

Il Piano è una straordinaria opportunità per disegnare il futuro del Paese, ma agisce in un orizzonte temporale ben definito, che si concluderà nel 2026. Per questo, tra le riforme che il documento annuncia come necessarie a raggiungere gli obiettivi, vi è la semplificazione e accelerazione delle procedure per l'attuazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico. Nella sua indagine relativa al fondo di programmazione 2016-2018, la Corte dei Conti ha evidenziato:

i) l’assenza di un’efficace politica nazionale, di natura preventiva e non urgente, per il contrasto al dissesto idrogeologico;

ii) la difficoltà degli organi amministrativi nell'inserire la tutela del territorio nelle proprie funzioni ordinarie;

iii) la debolezza dei soggetti attuatori e dei Commissari/Presidenti Straordinari della Regione, che non hanno strutture tecniche dedicate.

La Corte dei Conti ha inoltre sottolineato le difficoltà procedurali, l’assenza di controlli adeguati e di un sistema unitario di banche dati. Lo scopo di questa riforma è superare le criticità di natura procedurale, legate alla debolezza e all’assenza di un efficace sistema di governance nelle azioni di contrasto al dissesto idrogeologico. Si prevedono:

i) la semplificazione e l’accelerazione delle procedure per l'attuazione e finanziamento degli interventi, a partire dalla revisione del DPCM 28 maggio 2015 (recante i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi) e del relativo “sistema ReNDiS”;

ii) il rafforzamento delle strutture tecniche di supporto dei Commissari straordinari;

iii) il rafforzamento delle capacità operative delle Autorità di bacino distrettuale e delle Province (presso le quali istituire un Ufficio specializzato di cui anche i Commissari possano avvalersi);

iv) la sistematizzazione dei flussi informativi e l’interoperabilità dei diversi sistemi informatici. La conclusione del processo di revisione normativa, in continuità con azioni avviate già nel 2020, è prevista per la metà del 2022.

Sempre ai fini di capire le opportunità che si aprono per rendere più efficace la riduzione del rischio idrogeologico, vale la pena considerare che nel Componente 4 vi è anche il quarto ambito di intervento, orientato a garantire la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l'intero ciclo e il miglioramento della qualità ambientale delle acque interne e marittime. È quindi previsto l’investimento 4.1, valorizzato in ben 2 miliardi di euro, dedicato alle infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell'approvvigionamento idrico. Le sempre più frequenti crisi idriche, dovute ai cambiamenti climatici in atto, comportano la necessità di rendere più efficienti e resilienti le infrastrutture idriche primarie per usi civili, agricoli, industriali e ambientali, in modo da garantire la sicurezza dell’approvvigionamento idrico in tutti i settori e superare la “politica di emergenza”. L’investimento mira a garantire:

i) la sicurezza dell'approvvigionamento idrico di importanti aree urbane e delle grandi aree irrigue;

ii) l'adeguamento e mantenimento della sicurezza delle opere strutturali;

iii) una maggiore resilienza delle infrastrutture, anche in un'ottica di adattamento ai cambiamenti climatici in atto.

Per il raggiungimento degli obiettivi indicati vengono finanziati investimenti in 75 progetti di manutenzione straordinaria e nel potenziamento e completamento delle infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura primaria. Gli interventi copriranno l'intero territorio nazionale, con finalità differenti a seconda dell'area geografica, con in particolare il completamento di grandi impianti incompiuti principalmente nel Mezzogiorno. 

Anche per questo ambito il Piano ritiene necessario indicare delle riforme atte ad accorciare i tempi di realizzazione degli investimenti. La prima riguarda la semplificazione normativa e rafforzamento della governance per la realizzazione degli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento idrico. La riforma è rivolta alla semplificazione e più efficace attuazione della normativa relativa al Piano Nazionale per gli interventi nel settore idrico. Inoltre, intende fornire misure di sostegno e di accompagnamento per gli organismi esecutivi che non sono in grado di effettuare investimenti relativi agli appalti primari entro i tempi previsti. In particolare, si intende agire sulla normativa che regola il Piano Nazionale per gli interventi nel settore idrico (Legge 205/2017, articolo 1, comma 516 e seguenti), facendo del Piano Nazionale lo strumento centrale di finanziamento pubblico per gli investimenti nel settore idrico unificando le risorse economiche relative alle infrastrutture di approvvigionamento idrico previste dal Piano e semplificando le procedure, sia per quello che riguarda la formazione e aggiornamento del piano, sia per ciò che concerne la rendicontazione e monitoraggio degli investimenti finanziati.

Altra riforma indicata come necessaria è la revisione e rafforzamento del modello di governance dei Consorzi di Bonifica. La riforma riguarderà la riorganizzazione dei Consorzi di Bonifica attraverso la revisione dei criteri di cui all'Accordo Stato-Regioni del 18 settembre 2008 (che comprendono: la definizione delle aree di bonifica; i soggetti e le funzioni dei consorzi; il sistema finanziario degli interventi e partecipazione privata; la consultazione e collaborazione con enti locali e imprenditori agricoli; la supervisione e controllo di gestione interno). In particolare, verrà valutata la revisione delle procedure di ricorso ai poteri sostitutivi da parte dello Stato e l'ammontare dei tempi di messa in servizio degli enti, ponendo un limite temporale agli stessi, in modo da garantire nel più breve tempo possibile il completamento di tutte le azioni necessarie per tornare all'autogoverno dei consorzi.

Il testo completo è disponibile al seguente indirizzo: clicca qui.



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