• Intervista al dott. Carlo Cacciamani: meteo, clima e un patto tra generazioni
    CAE MAGAZINE n.44 - Luglio 2020
    Intervista al dott. Carlo Cacciamani: meteo, clima e un patto tra generazioni

Intervista al dott. Carlo Cacciamani: meteo, clima e un patto tra generazioni

Carlo Cacciamani, fisico, meteorologo, climatologo, docente, divulgatore e di recente anche scrittore, dopo una collaborazione trentennale presso il Servizio IdroMeteoClima (SIMC) di Arpae (di cui per 9 anni è stato Direttore), nel settembre 2017 è stato chiamato a coordinare il Centro Funzionale Centrale per la gestione del Rischio Meteo-Idrogeologico - Ufficio 3 - del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale (DPC) a Roma.

Al termine del suo primo mandato al DPC, durante il quale è divenuto anche volto noto dei TG nazionali, Cacciamani è stato richiamato in Arpae e da giugno 2020 ricopre nuovamente il ruolo di Dirigente Responsabile del SIMC.

Autore di numerose pubblicazioni scientifiche in ambito meteo-climatico e impegnato nella divulgazione e comunicazione di settore, nel 2019 esce il suo primo libro “La giostra del tempo senza tempo. I cambiamenti climatici e il patto tra le generazioni” (ed. Bonomo), un romanzo in cui passato e futuro si intrecciano in un immaginario dialogo fra generazioni, sullo sfondo di un clima che, impietosamente, cambia e non fa sconti a nessuno.

 

Dott. Cacciamani, ci racconta la sua esperienza al DPC?

«Nel triennio trascorso a Roma presso il Dipartimento della Protezione Civile Nazionale (DPC) ho assunto il ruolo di responsabile del Centro Funzionale Centrale (CFC), che è la struttura che coordina le attività di allertamento nazionale in tempo reale, per la riduzione del rischio meteo-idrogeologico e idraulico. Come è forse noto, queste attività sono di responsabilità delle Regioni e, in particolare, dei Centri Funzionali Decentrati (CFD) delle Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano. Ogni giorno le allerte diramate dalle Regioni convergono al CFC che le pubblica poi a sua volta sul web del DPC. Una tale azione di coordinamento è necessaria per limitare le eventuali disomogeneità di allertamento tra i diversi territori, magari molto vicini tra loro pur appartenendo a Regioni diverse. Le attività di prevenzione del rischio, e in particolare i sistemi di allertamento in tempo reale, sono essenziali per informare i territori di possibili situazioni di rischio che possono abbattersi nell’immediato futuro, innescati da eventi meteo-idrologici estremi e quindi molto pericolosi, allo scopo di limitare i potenziali danni. Sono stati tre anni di lavoro molto intensi che mi hanno permesso di avere un’idea abbastanza precisa di come sia lo stato di “salute” del Paese in termini di capacità di rispondere ai rischi naturali, in relazione alle diverse realtà territoriali, ai sistemi di monitoraggio disponibili e alle capacità e competenze degli operatori. Da quel palcoscenico nazionale ho tratto la consapevolezza di quanto grande sia la “ricchezza” disponibile in termini di strumenti di monitoraggio o le capacità previsionali e le competenze diffuse, e quanto altrettanto ampio sia il margine di miglioramento da attuare ancora, sia dal punto di vista tecnico-scientifico, sia per quanto concerne la comunicazione delle Allerte (ad esempio) ed anche relativamente alla formazione dei cittadini sui temi della gestione del rischio, affinché possano divenire più “resilienti” e quindi capaci di rispondere ai rischi, anche attuando azioni di auto protezione».

Ora lei è nuovamente Dirigente Responsabile del Servizio IdroMeteoClima di Arpae: cosa vede nel futuro del SIMC?

«Le attività nei settori della meteorologia, climatologia, idrogeologia sono essenziali per il Sistema federato dei Centri Funzionali di protezione civile. Il SIMC, pertanto, sia per la sua consolidata esperienza in questi settori, sia perché è anche il Centro Funzionale Decentrato a supporto della protezione civile della regione Emilia-Romagna, è pienamente coinvolto in queste attività. Parallelamente, il SIMC è struttura tecnica di Arpae, l’Agenzia per la Prevenzione Ambiente e Energia della Regione Emilia-Romagna, e presidia queste attività a supporto sia di Arpae stessa, sia anche degli altri assessorati e/o ambiti tematici di interesse per la Regione, tra i quali si possono annoverare l’Ambiente, l’Agricoltura, il Turismo e i Trasporti, lo Sviluppo economico e l’Energia, che sono fortemente impattati dalle vicissitudini del tempo meteorologico, sia perché sono rilevanti per la gestione delle diverse attività di “filiera” nel tempo reale, sia come supporto climatologico ai fini della pianificazione del territorio.

Oggi sempre più spesso si parla di “servizi climatici” a beneficio e supporto di questi settori e la loro realizzazione rappresenta un’importante attività del SIMC. Questi servizi diverranno sempre più strategici anche negli anni futuri, in relazione soprattutto alle implicazioni e impatti del cambiamento climatico, già in atto e futuro, che renderanno necessarie la messa in atto di azioni e politiche di adattamento, inter-settoriali in molti casi, che si fondano per la grande maggioranza sulla approfondita conoscenza meteo climatica dei territori».

L'anno scorso è uscito il suo primo romanzo “La giostra del tempo senza tempo. I cambiamenti climatici e il patto tra le generazioni”, un racconto che ha come sfondo temi che da sempre le stanno molto a cuore: la crisi climatica e le sue conseguenze. Un libro corredato anche di 23 schede di approfondimento curate da esperti del settore. Come è nata l'idea?

«L’idea di scrivere questo romanzo è nata a seguito di due seminari tenuti a Pordenone il 31 maggio e il 1 giugno del 2018, assieme alla collega climatologa Elisa Palazzi, ricercatrice dell’Istituto ISAC-CNR di Torino, su invito dell’Associazione “Terrae – Officina della sostenibilità”. In quei due giorni parlammo, ai cittadini e studenti convenuti, del Cambiamento Climatico e dei suoi impatti sugli ecosistemi e le attività dell’uomo. Questo è uno dei principali problemi che la società deve affrontare già da ora per evitare una lunga serie di impatti negativi, di cui faranno le spese soprattutto le future generazioni. A partire da quei giorni ho pensato che il primo passo da compiere per far comprendere alla nostra generazione le responsabilità che ha verso i futuri abitanti della Terra fosse, prima di tutto, far “incontrare” e dialogare due generazioni, distanti tra loro una sessantina di anni, una che vive “nell’oggi”, nel 2019, e l’altra “nel domani”, nel 2080, allo scopo di far prendere coscienza in maniera concreta, alla nostra generazione, di quale potrebbe essere il futuro del pianeta nel quale vivranno i nostri nipoti e pronipoti».

Perché uno scienziato, un “tecnico” come lei, aduso a linguaggi diversi, ha deciso di servirsi di una storia quasi fiabesca per lanciare un messaggio molto concreto e urgente sul tema della crisi climatica? Possiamo definirlo un “avvertimento” per le generazioni presenti e future?

«Ho percepito forte la necessità di mettermi in discussione anch'io, tecnico che per una vita ha studiato il tempo e il clima usando gli “arnesi” tipici del linguaggio della Scienza, che fanno però fatica ad aprire brecce nella consapevolezza delle persone. Consapevole di questa difficoltà, ho deciso di “usare” il racconto, piuttosto che continuare il solito uso di grafici, formule e tabelle, propri del linguaggio tecnico-scientifico, per una serie di motivi. Il primo motivo è che il tema dei cambiamenti climatici non è solo un tema tecnico-scientifico, ma al contrario è altamente trasversale a tutte le discipline e ambiti di sapere. Non si può parlare di cambiamento climatico e dei suoi impatti se non si inseriscono nella discussione le questioni, ad esempio, di equità sociale, gli aspetti antropologici o quelli economici. Il secondo motivo, legato per altro al primo, è che (almeno nel nostro Paese) è molto difficile far “passare” il linguaggio scientifico, specialmente in questi ultimi tempi nei quali il livello di “dibattito” (per così dire) culturale, ed in particolare quello tecnico-scientifico, è certamente calato.

Si rende pertanto necessario, a mio avviso, approcciare il problema facendo leva su altri aspetti, ad esempio sulle emozioniche un racconto può far nascere, e poi, traendo energia e spunti da quelle, approfondire le questioni tecniche. Non direi che si tratta di un modo “furbetto” da utilizzare per accendere gli interessi, direi piuttosto che si tratta di una reale strategia di comunicazione che, per altro, ben si adatta anche alla tragicità del tema. Preso atto che il cambiamento climatico è divenuto oramai, ed in maniera incontrovertibile, una reale “emergenza” climatica, è doveroso che il linguaggio della Scienza quanto meno si abbini anche ad altre modalità di esposizione. Si tratta in sostanza di far comprendere meglio la tragicità di questa nostra realtà, che è sotto i nostri occhi, sottolineando le conseguenze che le azioni (o “non” azioni) di oggi possono avere per le future generazioni, e facendo leva sulle sfere emozionali che caratterizzano noi tutti esseri umani, passeggeri di questa “Astronave Terra”, come la definisce il Prof. Vincenzo Balzani, che ci porta a spasso per l’Universo da un numero considerevole di anni e che noi vorremmo tanto che così continuasse ad essere».

Quindi il suo romanzo si rivolge non solo a un pubblico specialistico, ma si può definire un libro per tutti...

«Si, è un libro per tutti, ma soprattutto per i giovani di oggi e anche per coloro che oggi devono prendere decisioni. Ad esempio è anche rivolto a coloro che devono attuare le azioni di mitigazione (cioè quelle che riducono le “cause” del cambiamento climatico, ovvero la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra che determinano il cambiamento climatico) ed anche di adattamento (cioè le azioni che riducono gli effetti del cambiamento climatico, che già è in essere e che si accentuerà in futuro). Non c’è molto tempo per avviare questi processi, è bene ricordarlo. Attendere troppo potrebbe essere purtroppo molto pericoloso, per il destino dell’umanità».

Sempre in tema di messaggi: lei ha partecipato alla puntata del 6 luglio del programma Zorba (*) “Il cambiamento climatico: la natura ha un messaggio per te”. Qual è il messaggio che la natura oggi ha per noi? E noi siamo in grado di comprenderlo?

«Sì, certamente, a mio avviso, la Natura ha un messaggio per noi. Ci sta dicendo, anche attraverso l’emergenza sanitaria, che non è più possibile “usare” il pianeta a totale piacimento dell’uomo. Questa visione eccessivamente antropocentrica dell’uomo va rivista. Dall’inizio dell’era industriale ad oggi l’uomo, in particolare quello dell’occidente “ricco”, ha continuato a consumare le risorse naturali della Terra a velocità crescente, per soddisfare non sempre solo i suoi bisogni primari, ma anche per disporre di un “delta” aggiuntivo a questi, sempre di nuovo crescente e tra l’altro a discapito dei più poveri del mondo, che crescono in numero, e che vivono nell’indigenza. La forbice tra il super-benessere di pochissimi e la povertà totale di moltissimi è divenuta non più accettabile e forse la Natura ci sta suggerendo di mettere un freno anche a questo. Non farlo potrebbe essere, ripeto, molto pericoloso, anche per noi, i “ricchi” del mondo».  

Infine, in questi mesi il nostro Paese ha vissuto un'emergenza straordinaria, che ha colto noi e il resto del mondo totalmente impreparati. Quale monito ci viene da questa pesantissima esperienza?

«Una delle ipotesi più accreditate in merito al possibile innesco dell’emergenza sanitaria ancora in essere è, come noto, che questo sia dovuto alla contaminazione tra esseri umani e animali che vivono in totale stato selvatico. Si tratta di un fenomeno noto denominato “spillover” dagli animali all’uomo, che questa volta ha avuto conseguenze più gravi rispetto al recente passato, anche a causa della crescita a dismisura di grandi megalopoli, con conseguente riduzione dell’ampiezza degli ecosistemi che separano i cittadini di quelle realtà urbane dalle foreste dove vivono queste specie di animali selvatici.

In definitiva, se è vero che la casualità in natura è sempre presente e che non è certo la prima volta che si osserva un fenomeno del genere, è anche vero che oggi la probabilità di contaminazione è molto aumentata. La globalizzazione del mondo, la facilità dei trasferimenti tra aree diverse, anche distanti migliaia di chilometri le une dalle altre, ha poi contribuito a dismisura a diffondere e rendere globale un problema sanitario, inizialmente confinato ad una area specifica del Pianeta. Il messaggio che ne esce è che “disturbare gli ecosistemi” e diminuire la biodiversità, può ingenerare problemi enormi, come ad esempio la pandemia che da mesi stiamo vivendo».

Intervista a cura di Patrizia Calzolari

 

(*) programma TV prodotto da Green Social Festival e Festival della Salute sui temi della della sostenibilità ambientale e della salute condotto da Franz Campi.

 


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