• L'OPINIONE DI... Enrico Cerioni / Monitoraggio idro-meteo: come'è cambiato dagli anni 60 ad oggi?
    CAE MAGAZINE n.3 - febbraio 2016
    L'OPINIONE DI... Enrico Cerioni / Monitoraggio idro-meteo: come'è cambiato dagli anni 60 ad oggi?

L'OPINIONE DI... Enrico Cerioni / Monitoraggio idro-meteo: come'è cambiato dagli anni 60 ad oggi?

L'OPINIONE DI... Enrico Cerioni / Monitoraggio idro-meteo: come'è cambiato dagli anni 60 ad oggi?

Cinquant'anni fa il livello dei fiumi si monitorava con pali e galleggianti piantati in mezzo all'alveo, oggi ci sono sofisticati sistemi di rilevamento in remoto e in real time. Quali sono stati gli step principali di questa evoluzione? Ce lo racconta Enrico Cerioni, già Responsabile Reparto telemisure Ufficio Reno di Bologna

Geom. Cerioni, come si sono sviluppati i sistemi di monitoraggio e allerta idrometrica nel tempo?

“Enormemente. Erano tempi 'pionieristici', il controllo dei livelli idrometrici era affidato a 7 o 8 tele-idrometri installati nei punti principali del bacino bolognese del Reno. Si trattava sostanzialmente di tubi piantati in mezzo all'acqua lungo il corso del fiume, muniti di un galleggiante che misurava il livello dell'acqua e dotato di sensori esterni. Questi tele-idrometri erano collegati con la nostra “sala radio” e trasmettevano con cadenza oraria i dati del livello idrometrico. E la “sala radio” di allora altro non era che un grande “bancone” da lavoro: sulla parte frontale c'erano delle finestrelle (oggi li chiameremmo display) in cui apparivano man mano i dati trasmessi dai sensori dei vari tele-idrometri, mentre sul tavolo del bancone erano disposti mucchi di moduli su cui noi di volta in volta registravamo i dati che apparivano nelle finestrelle e in base ai quali realizzavamo i grafici di piena. Tutto manuale. Esisteva anche una rete di operatori che sorvegliavano il territorio a piedi e ci avvisavano in caso di potenziale o reale emergenza. Stiamo parlando degli anni 60 fino alla fine degli anni 70”.

Poi cosa successe?

“Successe che lessi la notizia che il Ministero dei Lavori pubblici (era circa il 1973 -74) era disponibile a fornire alle PA un ‘calcolatore’, in pratica un trisavolo degli attuali computer. Feci di tutto perché ne fosse affidato uno anche al nostro Ufficio. E lo ottenni. Si trattava di un Olivetti P652 dotato di un piccolo display e di una macchina da scrivere, quelle grandi con enormi fogli. Il problema però era il manuale di istruzioni: era un tomo enorme e inaffrontabile, almeno per me e i miei colleghi. E fu così che ebbe inizio la collaborazione con l'azienda che nel tempo è diventata l'attuale CAE S.p.A. Il funzionamento, e soprattutto tutte le possibili applicazioni del P652 ci furono illustrate dal giovane ingegnere Paolo Bernardi che ci mise in grado di collegare il calcolatore alla centrale teleidrometrica: finalmente non dovevamo più riscrivere tutti i dati a mano sui foglioni! Ma non solo, trovò anche un modo davvero ingegnoso per far fare alla macchina i diagrammi di piena. Il nuovo calcolatore ci fu anche di grande aiuto per ottenere velocemente i calcoli delle verifiche idrauliche, prima affidati a lentissime macchine calcolatrici. Ma quella macchina segnò anche un'altra una svolta importante: da quel momento in poi fu finalmente disponibile un archivio di tutti i dati idro-meteo registrati. E segnò, credo di poter affermare, un punto importante anche nella storia di CAE, che dopo quella collaborazione indirizzò tutte le proprie energie sulle applicazioni di allerta idro-meteo-clima. L'ammodernamento delle nostre tecnologie andò poi di pari passo con lo sviluppo tecnologico generale: si passò alle successive generazioni di calcolatori, i primi microprocessori, le prime realizzazioni custom, l'installazione di un televisore in ogni ufficio in modo che tutti potessero visionare i dati che trasmessi dai teleidrometri”.

Dritti verso la meta, quindi?

“No, in realtà non fu così. Perché se da una parte avevamo dei computer efficienti, dall'altra il sistema di rilevamento dati faceva acqua (letteralmente) da tutte le parti. Era diventato obsoleto e non era affidabile. Succedeva infatti che i galleggianti del teleidrometri talora si bloccassero a causa, ad esempio, di un ramo trasportato da una piena imminente. Quindi a noi continuava ad arrivare un dato di livello nella norma, poi magari la forza dell'acqua trascinava via il ramo e d'un tratto scoprivamo che il livello del fiume era invece preoccupante. Insomma il rischio era quello di avere “zone buie” nel monitoraggio e conseguenti ritardi di intervento. E nuovamente ci rivolgemmo a CAE, per avere un dispositivo che misurasse il livello dell'acqua ‘dal di fuori’. CAE progettò e sviluppò per noi un idrometro a ultrasuoni, in grado non solo di rilevare il dato preciso dell'altezza dell'acqua in un punto ma anche di fare una media di livello su una superficie ampia. Questo dispositivo venne poi affinato e migliorato nel tempo e si giunse ad avere due tecnologie, quella del rilevamento dati e quella della loro elaborazione, che andavano di pari passo”.

È così che sono nate le moderne reti di monitoraggio idro-meteo? 

“Sì, orgogliosamente posso dire che l'Ufficio Reno di Bologna, in cui allora lavoravo, fu il primo al mondo a ad utilizzare  queste tecnologie che poi furono adottate dal CNR per la creazione della prima rete idrometrica in Umbria”.

E la regione Emilia Romagna?

“Fu la seconda a dotarsi di una rete di monitoraggio, che oggi vede ben 450 stazioni e credo sia la seconda al mondo per estensione. Mi piace anche ricordare una cosa: diversamente dalla mentalità allora dominante, in cui il proprietario di una rete teneva per sé tutti i dati e li custodiva gelosamente, l'Ufficio Reno di Bologna fu il primo a incentivarne la condivisione mettendoli a disposizione di chi potesse averne bisogno (ad esempio le bonifiche). Così fecero man mano anche gli altri enti, dando vita al primo esempio di rete tra enti territoriali per la condivisione di dati e costi. Una politica decisamente innovativa adottata in tutta la regione Emilia Romagna. In seguito, alla fine degli anni 90, sulla spinta della Protezione civile guidata da Barberi, questo modello di condivisione fu adottato a livello nazionale”.

Da ultimo, tornando ai tempi attuali, quali caratteristiche deve avere oggi una rete di monitoraggio per essere efficiente?

“Guardi, le tecnologie disponibili sono di altissimo livello, gli strumenti non mancano. Manca invece, troppo spesso, la competenza  delle persone: una volta per poter operare in questo campo era imprescindibile avere una buona conoscenza del territorio, aver presenti le varie zone e le loro caratteristiche. Oggi disporre di dati in tempo reale è importantissimo ma è un supporto che, seppur indispensabile, non può sostituire il rapporto diretto con il territorio di azione, perché i dati, ricordiamocelo, vanno sempre interpretati e non lo si può fare bene se non si sa di cosa si sta parlando”.

 

a cura di Patrizia Calzolari