L’OPINIONE DI…Meuccio Berselli / Contratti di fiume: esempio di sussidiarietà territoriale e occasione di riscatto per le Comunità
Sempre più spesso, e particolarmente in tema di prevenzione del dissesto idraulico e idrogeologico e di contrasto ai cambiamenti climatici, si parla di "contratti di fiume". Adottati per la prima volta in Francia nei primi anni '80, nel giro di pochi anni, i contratti di fiume (CdF) si sono diffusi rapidamente in diversi Paesi europei (e non solo), fra i quali anche l’Italia.
I contratti di fiume sostanzialmente sono accordi formalizzati su base volontaria tra soggetti diversi che hanno responsabilità nella gestione e nell’uso delle acque e nella pianificazione e tutela del territorio (quali Comuni, Province, Ato, Regioni, Associazioni, imprese, cittadini, ecc.): sottoscrivendo un contratto di fiume tali soggetti si impegnano a definire insieme un Programma di Azione (PA) e di pianificazione strategica per la riqualificazione del bacino fluviale di riferimento, secondo quanto stabilito dalla legge nazionale di recepimento della Convenzione europea del paesaggio.
Il Contratto di Fiume (CdF) è quindi uno strumento volontario di programmazione negoziata che nasce con la sottoscrizione di uno specifico accordo e che adotta un sistema di regole tramite il quale, partendo da criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale e sostenibilità ambientale, vengono ricercate soluzioni efficaci per la riqualificazione - nella sua accezione più ampia - di un bacino fluviale.
I contratti di fiume perseguono tali obiettivi attraverso processi partecipativi che, grazie a politiche integrate, coinvolgano tutti i soggetti interessati in un’azione di prevenzione attiva, contribuiscano al superamento delle logiche dell'emergenza e portino effetti positivi anche sul piano economico.
Oggi in Italia si registra un notevole incremento dei CdF attivati anche sotto forma di contratti di lago, foce, costa, falda ecc. con la conseguente necessità di un sempre maggior confronto fra le varie realtà coinvolte.
Ne parliamo oggi con il Dott. Meuccio Berselli, Segretario Generale dell'Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po:
Dott. Berselli, da quali esigenze nasce la necessità di sottoscrivere un CdF?
«L’esigenza è quella di condividere percorsi di ascolto e di confronto. A me piace l’idea che siano le Comunità a muoversi e a rappresentare la necessità di coordinarsi e di unirsi per cercare di farlo insieme, in questo caso l’istituto funziona meglio».
Chi può promuoverne lo sviluppo e con quale iter si arriva alla sua sottoscrizione definitiva?
«Solitamente è la Regione che promuove il contratto, ma spesso l’azione di “facilitatore” può e deve essere esercitata dagli enti che per conoscenza o sensibilità rappresentano bene i temi in questione».
Perché è importante che tutti questi soggetti si riuniscano in un unico organismo progettuale e sottoscrivano politiche comuni e condivise?
«Le politiche comuni, quando condivise, sono un acceleratore di progettualità e hanno la virtù di essere soprattutto un esempio di sussidiarietà territoriale. Infatti, con il CdF tutte le Comunità, anche le più piccole ed emarginate, hanno medesima dignità e possono avere, grazie al patto, un’occasione di riscatto».
Nell’ambito del contratto, i soggetti aderenti hanno pari peso decisionale?
«Certo, tutti i sottoscrittori, dal comune capoluogo di provincia al piccolo comune hanno, ovviamente, medesima importanza e peso decisionale».
Quali sono nello specifico gli obiettivi dei Cdf?
«Esprimere in modo coordinato una conoscenza dei valori e delle criticità, condividere le priorità migliorando la qualità di vita delle persone che abitano in quel determinato Bacino».
Quali modalità operative e peculiarità fanno del Cdf uno strumento efficace per il conseguimento di tali obiettivi, e in particolar modo per il contrasto e la mitigazione del rischio alluvionale?
«Il piano d’azione, condiviso, diventa particolarmente performante perché parte da un’analisi degli scenari e concerta dove allocare gli investimenti in modo coordinato».
Qual è la funzione dei singoli soggetti aderenti? Il CdF permette di aver un quadro chiaro sui ruoli e sulle attività svolte al suo interno?
«Tutti coloro che vi partecipano hanno le medesime “quote” e, oltre agli enti, anche il privato e le associazioni hanno un ruolo di assoluto protagonismo».
Come contribuisce nello specifico l’ADBPo in questo percorso?
«AdBPo ricopre un ruolo di coordinamento, di ascolto, ma spesso è anche l’animatore del processo, perché ritiene che lo stesso sia una grande occasione di crescita in termini di consapevolezza per le Comunità».
In quale quadro normativo si inseriscono, a livello nazionale, i Cdf?
«È semplicemente uno strumento volontario di programmazione strategica e negoziata promosso dal Ministero dell’Ambiente».
In una Sua recente intervista, Lei ha sottolineato come il fare rete, il condividere e far circolare le conoscenze, rendano più performante l’azione della pianificazione in tema di difesa del territorio. Può farci qualche esempio?
«Spesso gli enti non sanno tra loro cosa fa l’altro ente perché ci sono poche occasioni di coordinamento. Ad es. i consorzi di bonifica (o altri) fanno investimenti importanti e necessari, ma se non sono conosciuti e messi in un sistema a rete rischiano di diventare isolati e poco produttivi, mentre se inseriti in una pianificazione “di fiume” diventano fondamentali per lo scenario che il pianificatore dovrebbe conoscere».
Lo scorso ottobre la notizia (del tutto inattesa) dello stanziamento, da parte del Ministero dell’Ambiente, di 10 milioni di euro che AdBPo utilizzerà per 90 interventi straordinari di sicurezza idraulica, manutenzione del reticolo idrografico minore e contrasto al dissesto idrogeologico in Emilia-Romagna. Quanto sono importanti questi 90 ulteriori interventi e cosa manca ancora (in termini di risorse e/o progetti) per poter dire che la Regione Emilia Romagna ha raggiunto un livello globale ottimale di difesa idraulica e geomorfologica?
«Il costo della prevenzione e della sicurezza dei territori non mi è noto, ma se le risorse invece di inseguire le emergenze fossero disponibili per realizzare progetti, come previsto nel piano stralcio 2018 del AdbPo (10 milioni), potremmo spendere 6/7 volte di meno di quanto spendiamo come società, mitigando il rischio correttamente e soprattutto difendendo meglio le vite umane e i nostri cittadini».
Intervista a cura di Patrizia Calzolari