• Clima sempre più “violento” fra siccità ed eventi estremi: l’opinione di… Andrea Giuliacci
    CAE MAGAZINE n.27 - Dicembre 2018
    Clima sempre più “violento” fra siccità ed eventi estremi: l’opinione di… Andrea Giuliacci

Clima sempre più “violento” fra siccità ed eventi estremi: l’opinione di… Andrea Giuliacci

Clima sempre più “violento” fra siccità ed eventi estremi: l’opinione di… Andrea Giuliacci

Si sono svolti nei giorni scorsi in Italia due importanti eventi dedicati ai temi della meteorologia a e ai cambiamenti climatici: il primo a Rovereto, con la quarta edizione del Festivalmeteorologia interamente dedicata al tema "A chi serve la meteorologia?" e il secondo, a Roma, il "Forum europeo per la riduzione del rischio" importante appuntamento internazionale, ospitato quest’anno dalla capitale, durante il quale, per tre giorni, si è discusso di rischi connessi ai cambiamenti climatici, analisi delle calamità naturali provocate dall'attività umana e strategie per la riduzione dei conseguenti disastri. Temi questi non solo di pregnante attualità, ma anche di vitale importanza per gli effetti che i cambiamenti climatici e i cosiddetti eventi meteorologici estremi stanno avendo e avranno sulla nostra vita di tutti i giorni.

Ne parliamo oggi, nell’intervista che segue, con Andrea Giuliacci, meteorologo, climatologo e volto noto dei tg delle reti Mediaset, per le quali cura le previsioni del tempo. Andrea Giuliacci ha pubblicato diversi libri su meteorologia e climatologia, è coautore di articoli accademici sullo studio del fenomeno ENSO (El Nino Southern Oscillation) e sulle sue influenze sul clima italiano. Dal 2007 tiene il corso di Fisica dell'atmosfera presso l'Università di Milano-Bicocca.

Dott. Giuliacci, siamo reduci da settimane pesantissime, durante le quali il maltempo ha assunto caratteristiche eccezionali con devastanti conseguenze in gran parte del Paese, tanto che ben 11 Regioni italiane hanno fatto richiesta dello stato di emergenza nazionale per far fronte ai danni derivati da esondazioni, fortissimo vento, frane e violenti nubifragi. Per non parlare del tragico bilancio in termine di vite umane (oltre trenta vittime). Che cosa ha scatenato questa particolare situazione meteo?
«La fortissima ondata di maltempo è stata scatenata da una perturbazione eccezionalmente intensa, capace di alimentare venti assai forti su un’area insolitamente vasta. Ecco perché venti violentissimi e piogge torrenziali hanno colpito tante regioni d’Italia. E a rendere la perturbazione così intensa ha senz’altro contribuito un Mediterraneo insolitamente caldo per il periodo e quindi capace di fornire all’atmosfera un surplus di energia e vapore».

Gli eventi meteo che per la loro intensità oggi vengono definiti “estremi”, possono ancora considerarsi un’anomalia o dovremo abituarci a questo tipo di clima e al ripetersi, se non all’accentuarsi, di fenomeni meteo-climatici di tale portata?
«Purtroppo gli eventi estremi, che eravamo abituati a definire “eccezionali”, perché accadevano molto raramente, stanno in effetti diventando assai numerosi, tanto da farci pensare che nel prossimo futuro possano diventare “la normalità”. Del resto tutte le più attendibili proiezioni sul futuro climatico del nostro Paese, effettuate tramite simulazioni al computer, suggeriscono che il clima andrà incontro a un’ulteriore estremizzazione. Ciò significa che il maltempo sarà sempre più spesso “violento”, alternato a fasi siccitose via via più frequenti e severe».

Esiste un nesso certo fra riscaldamento globale e fenomeni meteo estremi?
«Attualmente non siamo in grado di dire se uno specifico evento meteo-climatico estremo sia o meno causato dal Global Warming (appunto l’aumento delle temperature medie planetarie), mentre è praticamente certo che l’aumento del numero e intensità degli eventi meteo-climatici estremi sia una conseguenza del surriscaldamento del Pianeta. Del resto se le temperature del Pianeta salgono significa che nell’atmosfera c’è anche una maggior quantità di calore, che poi tutti i fenomeni atmosferici possono sfruttare per divenire più intensi».

Per quanto la stragrande maggioranza dei climatologi e meteorologi mondiali attribuisca il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici in corso alle conseguenze all’eccessiva antropizzazione e dell’opera dell’uomo sull’ambiente, resiste una quota, seppur esigua, di scienziati “negazionisti” che disconoscono la correlazione tra climate change e antropizzazione. In che modo lo studio dei fenomeni climatici del passato confrontati con quelli degli ultimi 150 anni conferma che è proprio la mano dell’uomo la causa primaria di tali modifiche?
«Innanzitutto allo stato attuale la Scienza è in grado di spiegare il recente surriscaldamento del Pianeta solo considerando l’effetto dell’aumento di gas serra e altre attività umane, come ad esempio l’urbanizzazione: i soli cicli naturali (Sole, vulcani, periodiche oscillazioni nella circolazione marina e atmosferica) non appaiono affatto in grado di spiegare il fenomeno. Quindi se è vero che appare molto difficile stabilire con esattezza quale sia percentualmente il contributo dell’Uomo, appare altresì virtualmente certo che tale contributo vi sia e sia anche importante».

L’intero pianeta si sta mostrando molto vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici ma, limitandoci ora alle conseguenze sul nostro Paese, quali scenari si prospettano e quali impatto hanno e avranno tali cambiamenti in particolar modo sul tessuto urbano delle nostre città?
«Le principali proiezioni effettuate al computer, come già accennato, per i prossimi decenni mostrano un’ulteriore estremizzazione del clima italiano, soprattutto se non verranno in qualche modo arginate le emissioni di gas serra. Tutto ciò impone non solo misure di mitigamento, cioè quelle politiche che si riflettono in minori emissioni di gas a effetto serra, ma anche e soprattutto misure di adattamento, ovvero azioni che rendano il territorio e, soprattutto, le nostre città più resistenti alle nuove condizioni climatiche. Con stagioni che si prospettano via via più calde e fenomeni atmosferici intensi in rapido aumento, le nostre città dovranno adottare misure per resistere più efficacemente al caldo estremo e alle piogge violente: aree verdi più numerose e disposte in modo più razionale, più efficaci vie di fuga per l’acqua piovana, colori più chiari per favorire maggiormente la riflessione della radiazione solare, sono solo alcune delle misure che possono rendere le aree urbane più adatte del clima del futuro».

In molti sostengono che ormai il fenomeno sia irreversibile e che l’unica cosa che possiamo fare è adattarci al nuovo clima. È cosi?
«Per quel che ne sappiamo le variazioni climatiche non sono ancora irreversibili, ma perché ciò non avvenga è necessario limitare quanto prima quelle azioni che spingono il clima a cambiare, e in particolare quindi occorre ridurre rapidamente le emissioni di gas serra. Ciò si può fare sia cercando di produrre energia attraverso fonti alternative, che non implichino l’emissione di gas in grado di alterare il clima (eolico, fotovoltaico, nucleare), sia promuovendo una maggior efficienza energetica, cioè un più razionale utilizzo dell’energia che consenta di utilizzarne di meno per ottenere gli stessi risultati (fondamentalmente si tratta di evitare gli sprechi)».

Esistono molti progetti europei, ma anche iniziative istituzionali, di gruppi di cittadini o di enti, tesi alla mitigazione e al contrasto delle conseguenze del climate change, l’Italia inoltre ha adottato una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: è questo il percorso giusto da intraprendere per imparare a convivere con le sfide imposte dal clima che cambia?
«Certo, questa è la strada giusta, non c’è dubbio. Ma va allargata ad altre misure e tra queste, a mio avviso, è fondamentale una maggior sensibilizzazione della popolazione, soprattutto nella fascia più giovane: spiegare ai bambini di oggi cosa sia il cambiamento climatico e perché sia importante cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo energia, significa avere domani cittadini adulti consapevoli, che tenderanno a comportarsi in modo più virtuoso nei confronti del clima e dell’ambiente in genere».

Da qualche anno le previsioni meteo hanno assunto un ruolo importante nella vita dei cittadini, anche grazie alle varie app e al web, e più di recente, il cittadino ha cominciato a familiarizzare un po’ con le allerte meteo diramate dalla protezione civile. C’è però ancora molta confusione nel corretto recepimento dei linguaggi e del loro significato (complici, come noto, le tante, controproducenti se non pericolose meteobufale acchiappaclick). Qual è l’importanza di una corretta comunicazione delle previsioni meteo? Cosa manca e cosa andrebbe fatto per migliorarla ulteriormente?
«La comunicazione è fondamentale quando si parla di previsione del tempo. La previsione corretta, ma comunicata male, risulta inevitabilmente inutile. Purtroppo, oltre alle “esagerazioni” dovute ad attività più attente al profitto che alla corretta informazione, ci sono spesso anche errori involontari, determinati dal fatto che il bravo meteorologo non è detto che sia anche un efficace comunicatore. Nel momento in cui la previsione meteo, che è fondamentalmente un contenuto scientifico, viene trasmessa al grande pubblico, passa inevitabilmente attraverso un grande mezzo di comunicazione (TV, radio, carta stampata, web), e a quel punto oltre a rispondere alle leggi della Scienza (la previsione deve essere “scientificamente” corretta) deve anche adeguarsi alle leggi della comunicazione, altrimenti la gente rischia di percepire il messaggio (e quindi la previsione) non corretto. Penso quindi che per migliorare ulteriormente la comunicazione delle previsioni meteo bisognerebbe innanzitutto individuare un metodo per rendere più chiaro quali siano le fonti attendibili e quali no, e inoltre sarebbe utile se nella formazione di coloro che si dedicano alle previsioni meteo venisse considerato anche l’aspetto comunicativo». 

Da ultimo, come vede la collaborazione (e la futura evoluzione) fra pubblico e privato nella sfide imposte dei cambiamenti climatici e delle loro conseguenze? Quali sinergie dovrebbero svilupparsi per condurre parallelamente e in modo efficace una lotta che riguarda l’intero pianeta?
«La collaborazione tra pubblico e privato è senz’altro auspicabile, perché lo scambio di informazioni e competenze non può che essere un vantaggio per entrambe le sfere della meteorologia. A patto però di mantenere ben chiari e distinti i rispettivi ambiti di competenza: la meteorologia di servizio, pur con l’aiuto esterno di realtà private deve fondamentalmente rimanere ad appannaggio del pubblico, perché non può essere asservita alle logiche del profitto, con il rischio di rendere meno efficace il servizio che deve tutelare la sicurezza di cittadini e territorio. D’altro canto il pubblico deve rimanere al di fuori della settore commerciale, sia per evitare di disperdere risorse e competenze che invece vanno impiegate per compiti più importanti, sia per evitare di alterare il mercato entrando in concorrenza con realtà che non vengono alimentate da fondi pubblici».

Intervista a cura di Patrizia Calzolari

Foto di apertura: Festivalmeteorologia



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