• Strategie resilienti di gestione delle acque: un convegno per presentare il Programma Idrologico Internazionale
    CAE MAGAZINE n.21 - Marzo 2018
    Strategie resilienti di gestione delle acque: un convegno per presentare il Programma Idrologico Internazionale

Strategie resilienti di gestione delle acque: un convegno per presentare il Programma Idrologico Internazionale

Strategie resilienti di gestione delle acque: un convegno per presentare il Programma Idrologico Internazionale

Il Comitato nazionale italiano del Programma Idrologico Internazionale IHP dell’UNESCO è stato recentemente ricostituito con Decreto del Ministro dell’Ambiente (MATTM) e, fra le sue prime iniziative, il Comitato ha organizzato la giornata di studio, in collaborazione con l'Associazione Idrotecnica Italiana, con i Consigli Nazionali degli Ingegneri e dei Geologi e il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. 

Dopo i saluti di apertura, a cura di Raffaele Tiscar, Capo dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Ambiente, di Massimo Mariani, delegato del Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e di Francesco Peduto, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi hanno avuto inizio gli interventi, coordinati da Armando Brath (Comitato Nazionale Italiano IHP-UNESCO, Associazione Idrotecnica Italiana).

“Proprio oggi si svolgerà il CIPE che dovrebbe assegnare ingenti risorse alla prevenzione del dissesto idrogeologico” - ha ricordato Antonio Caponetto, Segretario Generale del MATTM, che nel suo intervento ha sottolineato l’Importanza del capacity building quale processo necessario per rendere le amministrazioni locali più efficaci nell’ individuazione delle situazioni di rischio e nella implementazione delle misure di prevenzione.

Dopo di lui, Massimo Mariani, che all’interno del CNI è delegato in materia di dissesto idrogeologico, ha preso spunto dal maltempo che ha caratterizzato l’ultima settimana di febbraio (forti nevicate e gelicidio un po’ su tutta la penisola) per sottolineare il fatto che le previsioni meteo vengono spesso considerate da chi le legge come deterministiche, con la conseguenza che, quando esse non si avverano così come previste, questo tipo di approccio genera problemi.

In tema di contrasto al dissesto idrogeologico, Mariani ha poi ricordato come  il CNI abbia attivamente partecipato alla cabina di regia di Italia Sicura, contribuendo alla redazione delle linee guida e alla generazione di linee di indirizzo.
“Cosa è stato molto importante in questo percorso? – ha spiegato Mariani - Abbiamo parlato di prevenzione, cosa che di solito è poco valorizzata dalla politica per il fatto che incide sul medio lungo termine. Finalmente ci si è focalizzati sulla buona progettazione, dove il progetto è diventato centrale”. “Mi auguro – ha concluso - che il momento di discontinuità politica rappresentato dalle elezioni non interrompa questo periodo di attenzione positiva alla progettazione di interventi per la mitigazione del rischio”.

“C’è bisogno del ruolo attivo di tutti, inclusa la cittadinanza – ha esordito il capo gabinetto del MATTM, Raffaele Tiscar - Il territorio è fragile per via della antropizzazione che non tiene conto della variabilità dei fenomeni, che sta aumentando oltre i range inizialmente considerati”.

“Nel tempo – ha spiegato Tiscar – si è cercato di gestire i corsi d’acqua con un approccio concertativo. Si pensi ad esempio alla creazione di centrali di generazione elettrica combinate che utilizzano i flussi di acqua continua per il raffreddamento. Queste oggi funzionano in media al 20% della loro capacità e in futuro probabilmente saranno dismesse. Pensiamo anche, come secondo esempio, alla predisposizione di casse di espansione, fortemente in difetto sul territorio, che in futuro dovranno aumentare. Terzo esempio: la salvaguardia della capacità di invaso, che passerebbe attraverso lo svuotamento e la pulizia degli stessi, con acqua fangosa in deflusso per mesi, camion per la rimozione di detriti e un sito, una discarica, dove depositare quelli che oggi sono classificati come rifiuti. Sono tre esempi di situazioni complesse in cui la sfida può essere vinta solo se ogni stakeholder rinuncia a qualcosa per il bene di tutto il territorio. Il territorio – ha concluso Tiscar - deve diventare una linea di riflessione politica importante per i prossimi governi”.

Il presidente del Consiglio nazionale dei Geologi, Francesco Peduto, ha puntato sull’importanza di mettere insieme alluvioni e siccità, ricordando come i geologi già nel 2012, in occasione del convegno “Fino all’ultima goccia” lanciarono un campanello di allarme per quello che avrebbe potuto riservare il futuro su questi temi, previsione che poi oggi si sta rivelando corretta.
“E’ necessario affiancare misure di mitigazione strutturali e non strutturali per ottenere maggiore conoscenza e maggiore informazione – ha dichiarato Peduto -. E’ necessario aumentare l’impiego di sistemi di monitoraggio delle diverse tecnologie che oggi sono disponibili”. “Secondo uno studio olandese – ha fatto sapere il presidente del CNG - gli eventi alluvionali raddoppieranno nei prossimi 50 anni”.

Quanto alla siccità, Peduto ha ricordato che a settembre 2017 c’erano appena 1066 milioni metri cubi acqua nelle riserve nazionali. Erano 2317 milioni nel 2010 e sono calati progressivamente. Un dato preoccupante che si aggiunge alla graduale diminuzione dei ghiacciai, all’aumento del cuneo salino, alla diminuzione dell’acqua in falda e all’incremento del rischio di desertificazione. “E’ quindi necessario un cambio di prospettiva – ha concluso Peduto – che porti a un uso diverso e più razionale della risorsa idrica, che si esplichi tramite tre punti fondamentali: una diversa organizzazione dei sistemi fognari ad acqua continua, un diverso modello di agricoltura, lo stop al caos normativo per capire chi decide come usare l’acqua”.

“Il clima sta cambiando? E questo cambiamento in che modo impatta il cambiamento sul territorio? Quali sono le misure di mitigazione e adattamento che possiamo intraprendere? – con questi interrogativi Armando Brath, Comitato Nazionale e Associazione Idrotecnica Italiana, ha introdotto le sue riflessioni sul tema della giornata. “Crescita demografica, migrazioni, uso del suolo e uso di materiali nuovi come la plastica - ha evidenziato Brath -: siamo in un’era in cui l’uomo impatta sul sistema terrestre come prima potevano solo le grandi forze della natura; siamo nell’era chiamata antropocene, che ha portato un incremento della CO2, lo scioglimento dell’artico, l’aumento delle temperature globali. E il futuro? Il futuro parte dall’incertezza su quanto gas serra emetteremo. Secondo i vari scenari la temperatura aumenterà in modo medio sul globo fra gli 1,5 e i 5,5 gradi. Anche le precipitazioni cambieranno in modo importante e differenziato a seconda delle aree geografiche. Quello che appare più probabile è che avremo estati molto siccitose”.

Brath ha quindi fatto una panoramica delle funzioni del Comitato Nazionale del IHP UNESCO indicando come spunto di discussione la vulnerabilità del territorio italiano alle alluvioni, al rischio idrogeologico e alla siccità, e individuandone le cause in diversi fattori: il cambiamento climatico, il consumo di suolo (dal 1956 ad oggi dal 1,5% al 9%), i tombamenti di corsi d’acqua e criteri di costruzione degli argini, la fragilità dei sistemi arginali, sia per sormonto sia per sifonamento, la non utilizzabilità di opere di contenimento a monte quando, con valori di portata più bassa, a valle gli argini stanno già cedendo.

Brath ha poi portato all’attenzione alcuni dati significativi:

- Circa 2,5 miliardi di euro all’anno per danni diretti dovuti al dissesto idrogeologico a fronte di investimenti annui per la mitigazione del rischio (per il periodo 1991 - 2011) pari a un quinto di quanto dell’esborso per riparare i danni.

- Tempi di realizzazione delle opere: per opere sopra i 10 milioni di euro occorrono 3-4 anni per la progettazione, da 1 a 4 anni per l’affidamento lavori e dai 3 ai 5 anni per la realizzazione effettiva dell’opera. Tempistiche quasi sempre dovute alla burocrazia.

- Poca innovazione in favore della cantierabilità: conseguenza diretta delle tempistiche sopra esposte, che implicano il fatto che si realizzino opere con tecnologie che hanno avuto origine almeno 4 anni prima, quando va bene.

- Scarsa attenzione alla ricerca: occorre una maggiore attenzione indirizzata a migliorare davvero lo stato dell’arte e della tecnologia e non solo a validare scelte già prese dalla PA. 

Infine ha ricordato il problema rappresentato dalle dighe italiane, molte delle quali sono vetuste: “un patrimonio - ha concluso - che richiede grande attenzione”.

“Innanzitutto desidero ringraziare il Ministero dell’ambiente che ha partecipato con slancio al supporto della posizione italiana all’interno del IHP UNESCO”, ha esordito Lucio Ubertini, membro del Comitato, introducendo il suo intervento.

“Il programma IHP UNESCO nasce nel 1975 e il Comitato Italiano IHP UNESCO, ricostituito recentemente con decreto del MATTM, è formato da 8 membri e da uno staff di 3 persone. Altri paesi sono molto più impegnati di noi su questo fronte, anche considerando che il programma IHP UNESCO è il principale programma intergovernativo al mondo che riguardi le acque”.

“Una delle iniziative che sarà portata avanti nel nostro paese – ha spiegato Ubertini - è il ‘calcolo del fabbisogno idrico mondiale’. Un impegno notevole, per far fronte al quale, il Comitato dovrà coordinare un vero e proprio esercito di persone, appartenenti alla comunità scientifica”.

La parola è quindi tornata al MATTM, per voce di Marina Colaizzi, che ha sottolineato come la conoscenza e lo scambio delle informazioni siano indispensabili per una buona pianificazione del territorio.
“Il Ministero ha proceduto alla predisposizione di sette Autorità di Distretto idrografico cinque nazionali e due insulari – ha ricordato Colaizzi –. Ciò comporta da parte del Ministero una maggiore responsabilità e il compito di facilitare il lavoro delle Autorità fornendo loro gli strumenti e le informazioni che le rendano sempre più capaci di controllare l’implementazione dei piani di gestione delle acque e del Piano di gestione del rischio alluvioni (PGRA)”. “In un quadro di concertazione e scambio dati con Ministero agricoltura e Ministero infrastrutture – ha sottolineato Colaizzi - il contributo del comitato IHP UNESCO può essere importante”.

Infine Colaizzi ha ricordato un’altra iniziativa importante del Ministero, vale a dire la predisposizione, ancora prima del verificarsi dell’ultima siccità, di un Osservatorio per la gestione delle acque e la siccità presso ogni Distretto. “Quello – ha concluso- è lo strumento in primis per mettere a fattor comune le informazioni”.

“Purtroppo in Italia la politica è poco interessata al tema, tanto che in campagna elettorale la questione è quasi assente. Ci sono tantissimi diversi uffici della PA che lavorano attorno al tema dell’acqua e ci sono anche tante risorse nel mondo dell’accademia che andrebbero valorizzate. Il coordinamento serve per rendere più efficaci tutte queste forze”. Così Erasmo D’Angelis, Segretario Generale dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale, ha introdotto il suo intervento al convegno, che si è poi focalizzato sulle tante criticità che la situazione presenta, fra le quali il clima che cambia (con più periodi di siccità ed eventi più estremi), le scarse infrastrutture di difesa per la mitigazione del rischio e le altrettanto scarse infrastrutture idriche per la gestione delle acque come risorsa.

“La governance locale – ha asserito D’Angelis – non affronta in modo sufficientemente efficace queste problematiche. Eppure siamo di fronte a un paradosso perché l’Italia è il ‘paese dell’acqua’. A livello nazionale invece si sono fatti passi importanti in questo senso, come ad esempio, la creazione dei distretti, l’Accordo di Parigi, su cui ha lavorato con forza il Ministero Ambiente, la struttura di missione Italia Sicura, con risorse e linee guida di progettazione, il Piano degli invasi (laminazione piene, idropotabile, irrigazione)”.

“Occorre inoltre entrare nell’ottica di rispondere ai rischi naturali con la prevenzione e non solo con la risposta in emergenza - ha sottolineato D’Angelis -. E questo vale per tutti i tipi di rischi, dal dissesto idrogeologico, al rischio vulcanico e sismico”. Quanto a quest’ultimo D’Angelis ha ricordato gli esborsi per i recenti terremoti: 17,2 miliardi per L’Aquila, 11 per Emilia, e 23 per il Centro Italia 2016, oltre 50 miliardi per rispondere alle emergenze in pochi anni, a fronte di una stima del Consiglio nazionale Geologi di poco più di 100 miliardi per aumentare la sicurezza sismica dei manufatti in quasi tutta Italia”. 

Ornella Segnalini, Direttore Generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche del Ministero Infrastrutture e Trasporti, è intervenuta sul tema delle grandi dighe e degli investimenti programmati nella legge di bilancio e nel CIPE proprio su queste grandi opere. Ne parliamo in un altro articolo di questo magazine.

“Il Distretto del Po – spiega Meuccio Berselli, Segretario Generale dell’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po, introducendo il suo intervento - si estende su una superficie di 80 km2, conta 21 milioni di abitanti. Al suo interno si sviluppa il 35% del settore agricolo nazionale e il 55% di quello idroelettrico. La siccità del 2017 è stata fronteggiata grazie ai grandi laghi: semplificando, si può dire che le pesche e kiwi sono arrivati sulle tavole dalla Romagna grazie alle acque del Lago Maggiore. A breve si riunirà l’Osservatorio per la gestione delle acque, perché si teme che il 2018 possa essere più critico del 2017 quanto a siccità”.

Berselli poi ha richiamato il concetto delle buone pratiche portando come esempio il riutilizzo acque reflue: nel comune di Reggio Emilia le acque reflue industriali depurate vengono usate per l’irrigazione agricola. E suggerisce l’utilizzo della fitodepurazione che però - afferma - va ancora migliorata, così come occorre porre rimedio al problema delle perdite della distribuzione d’acqua che si attesta ancora attorno al 35%. Idem dicasi per la gestione dei consorzi per la quale auspica una decisa riduzione degli sprechi.
Passando al tema delle bonifiche, secondo Berselli l’ambito di intervento può essere esteso a un ruolo attivo nella gestione degli eventi estremi. “Infatti, se è vero che gli argini devono essere ammodernati e portati a livello in tutta l’asta, rimane necessario ragionare anche in modo alternativo. Le arginature non sono sufficienti, per cui si deve valutare se sia opportuno studiare gli scenari delle tracimazioni controllate prevedendo l’intervento delle bonifiche nella gestione dell’esondazione conseguente. L’Autorità di Distretto – ha concluso il segretario - lavorerà su questo ambito”.

“Piove ma piove male – ha affermato Giulio Tufarelli di ANBI (Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni) - perché la siccità estiva si sta aggravando e quando piove, piove con una intensità che rende difficile la regimentazione per l’immagazzinamento delle acque. E questo ha come conseguenza anche un aspetto finora poco considerato ma importante: l’impatto della scarsità dell’acqua arriva a incidere anche sull’alimentazione, perché l’agricoltura è spinta a optare per colture con minori esigenze idriche”.

Sempre per il MATTM, è intervenuto Walter Mazzitti che ha riferito sul percorso avviato alla COP21 di Parigi per arrivare al coordinamento internazionale fra le Autorità di bacino di tutto il mondo: “Subito dopo Parigi – ha spiegato Mazzitti - il Ministero dell’Ambiente ha avviato un’iniziativa importante per dare contenuto a questo meccanismo di coordinamento. A Roma è stato convocato un summit molto partecipato, con tutti i responsabili dei più grandi laghi e fiumi del mondo. Grazie all’Italia c’è stata la possibilità per tutti di conoscersi e scambiarsi punti di vista su come affrontare il cambiamento climatico atteso per il futuro. Ora si devono stabilire le priorità su cui iniziare a lavorare: la principale è quella di lavorare insieme”.

“In tal senso – ha proseguito il consigliere del MATTM - il primo presupposto è la condivisione della conoscenza. Occorre inoltre migliorare i sistemi di informazione, puntando sui sistemi di allerta e sulla risposta del territorio alle allerte, accrescendo la partecipazione delle comunità alla mitigazione dei rischi e anche alla riduzione del consumo della risorsa idrica. Al summit di Roma oltre 40 aziende hanno deciso di collaborare, insieme con le loro associazioni di categoria, alla riduzione del consumo di acqua”.

Per il Dipartimento della protezione civile, è intervenuto Andrea Duro, “La competenza in tema di pianificazione urbanistica, difesa suolo, programmazione interventi, gestione della risorsa idrica, etc. è distribuita su molti attori. C’è la necessità di integrare misure di prevenzione strutturali e non strutturali, come dice anche la direttiva alluvioni. Le prime riducono la pericolosità, mentre le seconde mirano alla riduzione del rischio per il bene esposto e della vulnerabilità.

Ma Il sistema di protezione civile lavora prevalentemente nel campo delle misure non strutturali nel tempo reale. Si pensi alla nascita nel 2004 del sistema dei Centri Funzionali e al ruolo dei Sindaci in questo senso”.
“Quanto alla crisi idriche, intese come siccità, è necessaria una collaborazione estesa e per questo motivo il Dipartimento ha partecipato agli Osservatori sulla siccità promossi dal Ministero Ambiente. Negli ultimi due anni questo strumento è diventato operativo con una cinquantina di riunioni dedicate. La siccità del 2017 ha resi necessari interventi in emergenza, come la distribuzione di acqua o la rimessa in funzione di infrastrutture per oltre 40 milioni di euro. Non compete alla Protezione Civile – ha concluso Duro - gestire gli investimenti per il futuro atti a eradicare le cause della scarsità di acqua”.

Nel suo intervento Grammenos Mastrojeini, Coordinatore area ambiente e Cooperazione allo sviluppo del Ministero Affari Esteri, si è focalizzato sul clima come uno degli elementi che caratterizza l’Europa nella sua essenza costitutiva. “Tuttavia – ha affermato - l’anticiclone delle Azzorre ha sempre meno influenza sull’Italia, mentre la bolla di caldo sahariana ci influenza sempre di più. Ci troviamo ad avere sempre più punti di contatto con il sud del mediterraneo”.
“Il tema è come affrontare questa contingenza considerandola come un’opportunità per il nostro Paese e non come una minaccia. Di fatto abbiamo l’occasione di fare leva su questa dinamica per metterci al centro di un processo importante - ha spiegato - La maggior parte dei problemi in Africa, di vario tipo, sono nella fascia del Sael, che è anche quella interessata dalla desertificazione. Dobbiamo esportare la nostra ‘gestione territoriale integrata’ in cui eccelliamo rispetto al resto del mondo. Adesso anche altri Paesi stanno traducendo questo approccio in ‘landscape management’ e lo stanno proponendo come qualcosa di loro, ma di fatto stanno cercando di imitarci. Esempio di competenza italiana non è solo la riforestazione nei territori a rischio desertificazione, che sanno fare anche gli altri, ma è l’attivazione di un circolo virtuoso di valorizzazione del territorio affinché diventi una risorsa per le comunità locali”. “L’Italia – ha concluso Mastrojeni - ha la capacità e le tecnologie. Occorre quindi fare molto ‘sistema paese’ per cogliere questa opportunità, sia per l’Africa sia per noi”.

Franco Cotana del Comitato Nazionale Italiano IHP UNESCO ha illustrato il progetto “Albedo for Africa”- Water from CO2 Compensation che prevede l’utilizzo di alcuni materiali con albedo tale da non trasformare in calore i raggi solari, e alcune attenzioni per il recupero dell’acqua piovana e per l’irrigazione a goccia. In questo modo in Africa, nel Sael, si possono costruire villaggi che si ripagano in meno di 8 anni grazie ai crediti verdi sulle emissioni. Il sistema di contabilizzazione dei crediti è proposto via satellite da Telespazio. 

In chiusura di lavori è intervenuto Michele Torsello direttore della struttura di missione Italia Sicura. Torsello ha sottolineato l’importanza del programma IHR UNESCO dal punto di vista della diffusione delle conoscenza.

“Occorre avere una visione integrata per affrontare materie complesse, superando le visioni solo settoriali. Anche sul tema dell’acqua è necessaria una visione complessiva. COP21 rappresenta una tappa fondamentale proprio perché stabilisce obiettivi al 2030, superando così la visione di corto periodo”.

Torsello poi ha fatto riferimento all’esperienza inclusiva di Italia Sicura, cha ha coinvolto non solo i Ministeri ma anche il mondo accademico e gli ordini professionali e che si è basata su una doppia linea di intervento con risorse stanziate sia sulle opere sia sulla progettazione. “Questo modus operandi – ha affermato - è in antitesi con la volontà politica che spesso chiede di far vedere cantieri aperti in un giorno dopo l’annuncio, a scapito della progettazione che nemmeno viene fatta”.

“Con l’agenda 2030 per quanto riguarda il settore dell’acqua si è partiti bene, ma ci sono enormi margini di miglioramento che riguardano ad esempio la depurazione delle acque che entrano in mare, la dispersione idrica, l’irrigazione moderna”.

“La resilienza – ha concluso il direttore di Italia Sicura - non si applica solo alla gestione del rischio. Serve resilienza anche per la gestione della risorsa scarsa. Purtroppo i temi del Consumo di Suolo e del Diritto all’Acqua non sono arrivati a diventare legge, ma si sono fermati fra le lungaggini del parlamento”.

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