• L'OPINIONE DI... / Disastri naturali, il Bel Paese è a rischio: possibile invertire la rotta? La parola al Prof. Stefano Tibaldi
    CAE MAGAZINE n.2 - dicembre 2015
    L'OPINIONE DI... / Disastri naturali, il Bel Paese è a rischio: possibile invertire la rotta? La parola al Prof. Stefano Tibaldi

L'OPINIONE DI... / Disastri naturali, il Bel Paese è a rischio: possibile invertire la rotta? La parola al Prof. Stefano Tibaldi

L'OPINIONE DI... / Disastri naturali, il Bel Paese è a rischio: possibile invertire la rotta? La parola al Prof. Stefano Tibaldi

"La difesa del territorio è l'intervento di adattamento al cambiamento climatico di maggiore urgenza, ma manca la volontà politica". Così Stefano Tibaldi, fisico, meteorologo, climatologo, già direttore generale di ARPA Emilia-Romagna e Docente universitario, nell'intervista che segue

Prof. Tibaldi, partiamo da COP21, la conferenza mondiale sul clima appena conclusasi a Parigi. Qual'è il suo giudizio sul risultato conseguito dal processo di negoziazione? Si può essere soddisfatti?

"Io credo che, contrariamente a quanto si sente dire troppo spesso, la COP21 sia stata un grandissimo successo, non tanto per il risultato del negoziato in sé, sul quale ci sarebbe in realtà parecchio da discutere (impegni che potrebbero risultare insufficienti a garantire il risultato dei due gradi, figuriamoci l'1,5), ma perché ha sancito la "morte politica" del negazionismo, cioè di chi continua a negare, contro tutta l'evidenza scientifica, che il cambiamento climatico sia già in atto, sia colpa delle attività umane e possa soltanto peggiorare se non si fa nulla per contrastarne la deriva".

Cambiamenti climatici, fragilità del territorio, pianificazione urbanistica assente o poco responsabile, consumo di suolo, mancata prevenzione: una lista di "mali" che affliggono il nostro Paese con le conseguenze nefaste che sperimentiamo ogni giorno. C'è fra questi un elemento di rischio a cui dare oggi priorità per un progetto di riassetto territoriale e messa in sicurezza? Esiste un'azione ad ampio raggio che possa influire positivamente sulla combinazione di tutti questi elementi di rischio?

"Credo che la difesa del territorio sia l'intervento di adattamento al cambiamento climatico di maggiore urgenza e che sia un intervento che sarebbe essenziale anche se il cambiamento climatico non ci fosse, ma che diventa, nella situazione attuale, assolutamente indispensabile e massimamente prioritario. Non credo sia facile battezzare un singolo intervento come più importante degli altri, credo invece che occorra realizzare un piano nazionale organico che si confronti con la complessità del problema in modo razionale ed economicamente affrontabile. Un vero piano di lungo respiro, almeno decennale, ma che affronti da subito le urgenze più scottanti e che generano più rischi, urgenze che sono di natura diversa in luoghi diversi del paese. Devo dire che trovo veramente inspiegabile come un piano come questo, che genererebbe posti di lavoro su scala temporale pluriennale riducendo contemporaneamente la spesa pubblica per gli interventi di ricostruzione post-evento, non sia, nei fatti e non a parole, tra le priorità di questo governo, come non lo è peraltro mai stato per i molti governi che lo hanno preceduto nell'ultimo trentennio almeno".

Guardando al "qui e ora", c'è un lavoro immenso da fare nel nostro Paese in tema di prevenzione dei disastri naturali: opere strutturali di prevenzione da una parte e monitoraggio del territorio e dei fenomeni idro-meteo-clima dall'altro. Connubio vincente per uscire dall'emergenza?

"E' convinzione di tutti coloro che, a vario titolo, si occupano di difesa dalle catastrofi idrogeologiche che soltanto un equilibrato bilancio tra interventi strutturali di prevenzione e interventi non strutturali di aumento della nostra capacità di monitoraggio, elaborazione, previsione e comunicazione del rischio alla popolazione esposta possa diminuire complessivamente l'altissimo rischio attuale di danni alle persone e alle proprietà che la nostra società si trova ad affrontare quotidianamente. Questo appare vero soprattutto nel momento attuale, nel quale il clima evolve in modo a noi sempre più sfavorevole mentre la politica molte volte non riesce a controllare le storture di uno sviluppo spesso miope e di corto respiro".

Le tecnologie oggi disponibili per il monitoraggio in tempo reale dei rischi naturali offrono sufficiente efficacia ed affidabilità? Si possono definire a buon diritto tecnologie salvavita?

"Sono certamente tecnologie affidabili, se di qualità e se ben manutenute. Sono tecnologie potenzialmente salvavita esattamente come, in medicina, lo sono l'ecografia, la TAC o la Risonanza Magnetica Nucleare. Diventano veramente salvavita quando dietro c'è qualcuno che le conosce e le sa "interpretare" adeguatamente e con rigore tecnico e scientifico e quando sono parte di un sistema più ampio, che va dal monitoraggio, alla previsione, all'intervento preventivo, sino alla gestione dell'evento in corso".

E le conoscenze attuali in campo meteo quanto e come contribuiscono al tema della prevenzione dei rischi territoriali, dagli effetti di fenomeni atmosferici e i loro effetti idrogeologici?

"La meteorologia osservativa e quella previsionale sono altri due importantissimi tasselli del complesso e interconnesso sistema a cui facevo riferimento un attimo fa. E sono tasselli la cui accuratezza e la cui affidabilità sono aumentate enormemente negli ultimi decenni. Tanto da creare aspettative e pretese talvolta forse anche eccessive per una scienza, e le sue applicazioni tecniche e tecnologiche, che dovrà sempre fare i conti con l'incertezza intrinseca ai sistemi previsionali, incertezza che potremo continuare a ridurre ma della quale non potremo mai liberarci del tutto. E' quindi indispensabile sapere come gestire l'incertezza associata ad ogni previsione meteorologica o idrologico-idraulica, per massimizzarne l'utilità per i tecnici, i gestori del rischio e per gli utilizzatori finali".

Ancora oggi in gran parte d'Italia si continua a scegliere di spendere per risarcire i danni post-emergenza piuttosto che investire sulla prevenzione dei rischi. Come cambierebbe il panorama del rischio idrogeologico nel nostro paese se i fenomeni e i dissesti fossero diffusamente monitorati?

"Se il monitoraggio fosse, diciamo così, fine a se stesso, cambierebbe poco. Se il monitoraggio fosse utilizzato, oltre che per gestire al meglio le emergenze in atto, per mettere in campo azioni sempre più efficaci di prevenzione dei rischi su varie scale di tempo, il panorama cambierebbe, e di molto. E' nozione accettata dalla comunità scientifica che un euro speso in buona prevenzione (che necessita per costruzione di buon monitoraggio) rende più di dieci euro risparmiati in riparazione dei danni, e questo non calcolando il valore della vita umana..."

Prof. Tibaldi, frane, alluvioni, terremoti, incendi, di questo passo il Bel paese rischia di non esser più tale: abbiamo capito che gli strumenti per invertire la rotta esistono, cosa manca allora ? Risorse, tempo, volontà?

"I tempi necessari affinché una buona politica di difesa del suolo generi ritorni positivi (sociali e finanziari) possono risultare, purtroppo, più lunghi del tempo tipico di un mandato politico. Credo che ciò suggerisca che ciò che manca veramente non siano né le risorse né il tempo. Ciò che manca è la volontà di sviluppare una politica di qualità sufficientemente alta da accettare di sacrificare una piccola parte dei propri consensi potenziali, e quindi del proprio bene immediato, per realizzare un bene di valore più alto e di respiro più lungo, cioè il bene della collettività".

 

a cura di Patrizia Calzolari