• “Volevamo sfidare noi stessi con una impresa che andasse un po' oltre…” Intervista all’Ing. Giancarlo Maria Pedrini, fondatore CAE
    CAE MAGAZINE n.16 - Speciale 40 anni
    “Volevamo sfidare noi stessi con una impresa che andasse un po' oltre…” Intervista all’Ing. Giancarlo Maria Pedrini, fondatore CAE

“Volevamo sfidare noi stessi con una impresa che andasse un po' oltre…” Intervista all’Ing. Giancarlo Maria Pedrini, fondatore CAE

“Volevamo sfidare noi stessi con una impresa che andasse un po' oltre…” Intervista all’Ing. Giancarlo Maria Pedrini, fondatore CAE

Era il 1977, esattamente 40 anni fa, quando quattro giovani ingegneri ricercatori, fra cui Lei, decisero di cambiare vita, come mai?

Eravamo convinti di saper fare bene, e volevamo mettere a frutto quanto appreso fino a quel momento. Eravamo tutti ingegneri elettronici delle telecomunicazioni, appassionati della ricerca, studiosi ed entusiasti. Essere ricercatori ci piaceva, ma volevamo sfidare noi stessi con una impresa che andasse un po' oltre. E' questo che ci ha dato la spinta per cominciare.

Il vostro primo traguardo importante?

Progettammo e fornimmo alla Ferrari il primo sistema di iniezione elettronica del carburante per la Formula 1. Quando glielo proponemmo non ci presero troppo sul serio, poi si sono ricreduti. Un sistema rivoluzionario che segnò una pietra miliare nel mondo dell'automotive.

Ciononostante siete passati ad altro…

Sì, arrivati ad un certo punto abbiamo dovuto scegliere: volevamo connotarci in un settore preciso ed abbiamo scelto quello l'idro-meteorologia, dei sistemi di telecontrollo da remoto.

Una scelta vincente?

Più che la scelta fu vincente l'approccio: abbiamo puntato sull'innovazione tecnologica, lasciandoci alle spalle il noto per il nuovo. Gli altri vendevano prodotti, noi offrivamo sistemi, sistemi completi perfettamente funzionanti. Ci eravamo dati una linea: i nostri prodotti devono andare bene “costi quel che costi”, massima importanza al risultato, minore importanza all'utile. Il margine di guadagno non era per noi una variabile prioritaria.

Quando avete capito di aver conquistato il mercato italiano?

La svolta in questo senso è arrivata con il primo lavoro affidatoci dalla Regione Piemonte. Essendo di Bologna, non conoscevamo nessuno di quella realtà, e ci siamo trovati di fronte a persone estremamente competenti, amministratori di altissimo livello (fra i quali mi piace ricordare il Dott. Vincenzo Coccolo) che amavano il proprio lavoro. E' stata una prova dura ma importantissima per noi: una buona reputazione è difficilissima da ottenere ma poi, se te la guadagni, rimane come patrimonio prezioso, anche se bisogna sempre considerare che va mantenuta giorno per giorno. Ancora oggi a distanza di decenni i nostri rapporti con la Regione Piemonte, come con tutti gli altri nostri Clienti, sono di grande reciproca fiducia.

Ed i mercati esteri?

E' difficile per le aziende come la nostra, che lavorano con le pubbliche amministrazioni, lavorare all'estero perché i Paesi stranieri sono molto protezionisti nei confronti delle loro imprese nazionali, cosa che in Italia, fra l'altro, non avviene. In Europa praticamente non lavoriamo perché le PA europee danno la precedenza alle loro aziende locali. In generale comunque i mercati esteri si conquistano puntando sulla qualità: noi 7 anni fa abbiamo installato in Vietnam due estese reti di monitoraggio, che funzionano perfettamente, e speriamo di poter lavorare al loro ampliamento nel prossimo futuro, in Argentina abbiamo collocato una rete pilota ed una simile in Venezuela, solo per fare qualche esempio.

In questi 40 anni di lavoro insieme, cosa sentite di aver trasmesso e condiviso con i vostri collaboratori?

Abbiamo cercato di trasmettere e di condividere con i collaboratori la nostra filosofia sulla qualità del prodotto che vuole che il margine di non funzionamento sia sempre molto vicino allo zero. Se la percentuale dei dati validi è del 90% (cosa che alcuni concorrenti considerano accettabile) vuol dire che in realtà le cose non funzionano; a noi interessa anche l’ultimo 1%, quello che davvero serve nei casi di vera emergenza. Il concetto deve essere chiaro a tutta la catena di lavorazione, dalla progettazione alla manutenzione, perché, se si rompe anche solo un anello, il processo non funziona più. Insieme ai nostri collaboratori condividiamo anche la soddisfazione di vedere lavori eseguiti più di 30 anni fa ancora perfettamente funzionanti. L'approccio di chi lavora con noi è basato sul rispetto e sulla reciproca conoscenza del lavoro: tutto ciò che fanno loro l'ho fatto anch'io, quindi il confronto è sempre costruttivo. Sono molto grato ai nostri collaboratori, presenti e passati: posso affermare che molti di loro hanno dimostrato una dedizione senza pari e che in tanti, per CAE, hanno davvero gettato il cuore oltre l'ostacolo.

 

a cura di Patrizia Calzolari

 

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